Achille Ratti e la montagna: Pio XI° il Papa alpinista
L'occasione offerta dalle celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Achille Ratti, S.S.PIO XI°, permette di ricordare - almeno nei momenti più significativi - la sua attività alpinistica, spesso un po' trascurata e non adeguatamente valorizzata.
Questo aspetto, per un personaggio che sarebbe entrato nella storia come Pontefice, può sembrare a prima vista riduttivo e forse anche di non grande importanza; in realtà, la passione, la conoscenza della montagna e la pratica dell'alpinismo sono caratteristiche, sicuramente particolari ma altrettanto significative, della poliedrica personalità di Achille Ratti.
La scelta dell'alpinismo come nobilitazione del tempo libero, è in sintonia con le sue doti di uomo di vasta cultura e di azione ad un tempo, che ricercava, nel percorrere la montagna, un giusto equilibrio tra conoscenza e scoperta, non solo di nuovi orizzonti geografici, ma anche di se stesso, trovando nel mondo alpino e nella pratica dell'alpinismo nuovi stimoli di meditazione e di crescita spirituale.
Anche se l'amore per la montagna è presente nella storia personale di altri Pontefici del nostro tempo - per inciso si possono citare Paolo VI°, certamente non un alpinista attivo, ma che in varie occasioni amava ricordare i suoi soggiorni estivi in Val Camonica e la sua considerazione dell'alpinismo, come risulta dai discorsi alle guide alpine (1966) ed ai dirigenti del Club Alpino Italiano (1973), e soprattutto Giovanni Paolo II° del quale tutti ancora rammentiamo le discese in sci sulle nevi dell'Adamello e le sue escursioni ai piedi del Monte Bianco ed in Cadore - solo Pio XI° occupa, a pieno titolo, un posto non secondario nella storia dell'alpinismo, soprattutto italiano.
Apprestiamoci, dunque - senza la pretesa di essere esaustivi - a ripercorrere le tappe più significative della "carriera" in montagna di Achille Ratti, di colui che sarebbe stato ricordato come il "Papa alpinista". L'attività alpinistica di Achille Ratti si svolse nell'arco di circa trent'anni (un tempo non breve, tenuto conto dei suoi incarichi ed impegni sempre più importanti e gravosi); tralasciando le prime escursioni compiute da ragazzo, durante le vacanze estive sulle montagne che circondano Asso in compagnia dello zio don Damiano Ratti, le prime vere esperienze alpinistiche iniziano nel 1885 con la salita alla Cima di Jazzi e al Colle del Turlo e terminano, di fatto, nell'ottobre del 1913 con la salita alla Grigna Settentrionale, dalla allora capanna Releccio lungo la via del Canalone, con una permanenza di quattro giorni al rifugio della vetta e successiva discesa ad Esino.
Riduttivo e forse noioso sarebbe fare un arido elenco delle salite compiute dal futuro Pontefice; più interessante appare, invece, ricordare, tra le tante, le imprese più significative di Achille Ratti, nella sua non breve e soprattutto non banale "carriera alpinistica".
Solo per dare un'idea dell'intensa attività di don Ratti in montagna, si segnalano alcune delle salite da lui compiute:
- 1886: Legnone e Grigna Settentrionale;
- 1887: Piccolo Cervino ed Eggishorn;
- 1888: Gran Paradiso, Levanne e Presolana;
- 1892: Monviso ed Argentera;
- 1894: Col d'Olen e Punta Gnifetti;
- 1895: Pizzo Bianco;
- 1904: Marmolada.
Gli anni d'oro furono però il 1889 e il 1890, durante i quali il futuro Pontefice compì le sue imprese più importanti. Ovviamente, per un frequentatore della montagna era, per così dire naturale, anche a quei tempi, associarsi al Club Alpino Italiano, fondato nel 1863; infatti, Achille Ratti divenne socio della Sezione di Milano nel 1888 (il suo amico fraterno e fedele compagno di cordata don Grasselli lo seguì l'anno successivo). Della Sezione di Milano fu anche membro del consiglio direttivo (allora i membri del consiglio di chiamavano "direttori"), nel 1890. (1)
Anche la Sezione di Desio onorò l'allora Cardinale Ratti - a quell'epoca Nunzio Apostolico in Polonia e Arcivescovo di Lepanto - nominandolo socio onorario.
Correva l'anno 1921 (la Sezione di Desio era stata costituita nell'ottobre del 1920) e il futuro Pontefice ringraziò con una lettera autografa, conservata in sede, indirizzata all'allora Presidente, Carlo Bosio. E' interessante ricordare anche che il prestigioso ed elitario Alpine Club britannico aveva incluso (1922) nella rosa dei suoi soci onorari Pio XI° il quale, pur declinando l'offerta, assicurò con una lettera dell'allora Cardinale Segretario di Stato Gasparri, il ringraziamento per un così "delicato e cortese pensiero" che aveva suscitato nel Pontefice il ricordo dei "bei tempi passati". (2)
La figura di Achille Ratti, sacerdote e alpinista, non è però un caso isolato; al contrario, si innesta in quel filone della storia dell'alpinismo e dell'esplorazione delle montagne che vide, spesso come protagonisti, esponenti del clero colto ed illuminato. Infatti, in molti angoli dell'arco alpino, dal Monte Rosa al Cervino, fino alla Marmolada ed alle Dolomiti, l'esplorazione delle vette vide, in prima fila, religiosi di montagna che salgono numerose cime (a volte in prima ascensione), in un periodo di tempo che - approssimativamente - si colloca tra la fine del 1700 e il 1880 circa.
All'epoca nacque uno stretto rapporto tra clero, esplorazione delle montagne ed alpinismo vero e proprio; a tal proposito è importante tener conto del ruolo che i sacerdoti (solitamente i parroci) rivestivano nella società alpina di quei tempi. Nelle vallate delle Alpi le strutture ricettive, soprattutto nella prima metà dell'800, erano scarse ed inadeguate; per questa ragione, frequentemente, i sacerdoti ospitavano i primi alpinisti, fornendo loro anche preziosi consigli ed indicazioni di mete ed itinerari, creandosi in tal modo rapporti di solidarietà ed amicizia.(3)
Tra i religiosi che hanno contribuito - praticamente su tutto l'arco alpino - a gettare le basi della nascente attività alpinistica, si possono ricordare: l'abate Gorret, che fece parte della prima cordata che salì il Cervino dal versante italiano, don Gnifetti, parroco di Alagna che molto operò nel gruppo del Monte Rosa e al quale è dedicata la punta Gnifetti, l'abate Chanoux, botanico, l'abate Henry, alpinista e scrittore, autore di una celebre guida della Valle d'Aosta e l'abate Stoppani, geologo e primo Presidente della Sezione di Milano del C.A.I., solo per citarne alcuni.
Riprendiamo il filo del discorso e veniamo al personaggio, don Achille Ratti alpinista.
MONTE ROSA
Come già detto, gli anni "speciali" della carriera alpinistica di don Ratti furono il 1889 e il 1890. La prima e certamente più importante impresa del futuro Pontefice fu quella che compì sulla parete est del Monte Rosa, lungo la via aperta nel 1872 dai fratelli Plendebury e da Taylor, inglesi, con le guide F.Imseng, G.Oberto di Macugnaga e G.Spechtenhauser di Fend, nell'Oeztal.
Per meglio inquadrare l'impresa del futuro Papa sul Monte Rosa, sono necessarie alcune brevi considerazioni sulla parete. Il grandioso versante est del Monte Rosa, vero e proprio prototipo alpino della grande parete glaciale, unico in tutte le Alpi per dimensioni e dislivello, offriva uno spettacolo "impressionante che merita da solo un viaggio dall'Inghilterra"(4), e rappresentava allora certamente un impegno fisico e tecnico di grande rilevanza, tenuto conto delle attrezzature e dell'abbigliamento del tempo e delle masse glaciali molto più imponenti di quelle attuali, senza dimenticare l'approccio mentale che era necessario (e in parte lo è ancora) per affrontare una parete di quelle dimensioni. Tra l'altro il medesimo versante, nel 1881, era stato teatro della prima grande tragedia dell'alpinismo italiano con la cordata di D. Marinelli e delle sue guide travolta da una valanga nel canalone che oggi porta il suo nome, così come il rifugio (del C.A.I.Milano) posto lungo l'itinerario di avvicinamento alla parete.
Questa tragedia, anche per la notorietà del Marinelli, scosse moltissimo l'opinione pubblica tanto è vero che vi fu anche un tentativo di vietare l'attività alpinistica, con tanto di interrogazione parlamentare.(5)
L'evento del 1881 non scoraggiò l'animo di don Ratti che con l'amico don Grasselli e le fedeli guide G.Gadin e A.Proment di Courmayeur, non solo salì la parete, ma si aggiudicò anche la prima traversata del Monte Rosa da Macugnaga a Zermatt, per il colle Zumstein.
Ciò lo si ricava anche dalla lettura delle relazioni che lo stesso don Ratti scrisse per le pubblicazioni ufficiali del Club Alpino, successivamente raccolte nel volume celebrativo del cinquatenario di fondazione della Sezione di Milano del C.A.I.; la pubblicazione vide la luce nel 1923 con un'edizione "ad personam"di 35 esemplari, una numerata per amatori, oltre alla normale tiratura (6). Degli scritti alpinistici di don Ratti furono pubblicate, sempre negli anni '20, le edizioni francese, inglese, spagnola e tedesca (7).
Proprio dalla lettura della relazione della salita alla parete est del Monte Rosa si comprende come l'alpinista Achille Ratti poco lasciava al caso; infatti, da valente storico ed archivista qual era (fu, come tutti sanno, Prefetto alla Biblioteca Ambrosiana e successivamente alla Vaticana), era solito documentarsi molto prima di affrontare un'ascensione, leggendo le relazioni di coloro che lo avevano preceduto; ma, soprattutto, era dotato - per così dire - di uno spiccato senso della montagna, come appare da questo passo tratto dalla relazione della salita: "Pel nostro uso e consumo non era neppur uopo di tante esperienze precedenti per stabilire che avevamo soprattutto bisogno di trovare il ghiaccio compatto, il tempo bello e freddo. La prima condizione ci doveva assicurare degli imbarazzi creati dai crepacci, la seconda dal pericolo delle valanghe; pienamente fortunati ove trovassimo di molta neve fresca o gelo sulle rocce della vetta. Sono queste, mi affretto a dirlo, le condizioni che saranno sempre indispensabilmente necessarie a chi voglia ritentare e compiere questa ascensione, non dico senza difficoltà, che non è possibile, ma senza pericoli".(8).
Dunque, il futuro Papa sapeva bene quello che faceva.
Prima di tutto si accompagnava a due valentissime guide, i citati Gadin e Proment, oltre al suo abituale compagno di cordata ed altrettanto valido alpinista, don Grasselli; in secondo luogo la cordata non fu audace, né temeraria, ma cosciente dei propri mezzi e capacità, perché come lo stesso don Ratti scrive: "l'idea di tentare, come suol dirsi, un tiro da disperati neppur ci passava per il capo" perché, continua lo scritto:" l'alpinismo vero non è già cosa da scavezzacolli ma, al contrario, è solo questione di prudenza e di un poco di coraggio, di forza e di costanza". (9).
A dire la verità, non tutti erano della stessa opinione come si ricava dal diario di Caterina Creda di Macugnaga, che, il 31 luglio 1889, scriveva: "Oggi due preti passano il Rosa con scandalo di tutti".(9).
Ma veniamo alla salita vera e propria.
Il gruppo partì da Macugnaga il giorno 29 luglio 1889 per giungere alla capanna Marinelli, sopra ricordata, circa alle sette di sera. Verso la una di notte escono dal rifugio e la salita ha inizio; la partenza notturna permetteva di attraversare il canalone Marinelli con maggiore sicurezza.
La cordata era così composta: in testa Giuseppe Gadin, secondo don Ratti indi Alessio Proment e ultimo don Grasselli. Dopo aver attraversato, come detto, il canalone Marinelli, raggiungono le prime rocce dove sostano brevemente. La salita prosegue senza intoppi, anche se piuttosto lenta per la molta neve, per circa dodici ore; verso l'una di pomeriggio la cordata si concede un po' di riposo e di ristoro con del cioccolato. Riprendono a salire senza particolari problemi, a parte la perdita della piccozza da parte di don Grasselli, cosa peraltro non di poco conto, e alle ore 19,30 circa, la cordata raggiunge la punta est della cima Dufour; era il 30 luglio 1889 e l'aneroide che don Ratti aveva con se segnava l'altezza di 4600 m.
Si è trattato, come è facile intuire, di un'impresa tutt'altro che modesta per l'epoca; la parete è poderosa ed imponente di circa 2500 metri di dislivello e con rilevanti pericoli oggettivi data l'esposizione ad est.
Di tutto ciò don Ratti era certamente consapevole tanto è vero, e cito ancora dai suoi scritti: "E' chiaro che l'ascensione del Monte Rosa per il versante est è ben più che un poco di alpinismo, e conveniamo pienamente con quanti ci precedettero che, anche nelle migliori circostanze, non è questa un'ascensione da permettere il minimo risparmio di energia e di attenzione".(11). Riprendiamo la narrazione. Data l'ora, la discesa era impensabile e la cordata si prepara al bivacco notturno. L'esperienza vissuta in quei momenti merita di essere ricordata.
Scrive don Ratti:"Il freddo era intenso; senza poterne con esattezza determinare il grado, ricorderò come il nostro caffè fosse perfettamente congelato, e vino e uova gli somigliassero già tanto da non essere rispettivamente né bevibile né mangiabili". E ancora: "In condizioni somiglianti di luogo e temperatura sarebbe stata somma imprudenza lasciarsi vincere dal sonno. Ma chi avrebbe potuto dormire con quella purissima aria....... A quell'altezza, nel centro di quel grandiosissimo fra i più grandiosi teatri alpini, in quell'atmosfera tutta pura e trasparente, sotto quel cielo del più cupo zaffiro, illuminato da un filo di luna e, fin dove l'occhio giungeva, tutto scintillante di stelle, in quel silenzio........ (12).
Ci sentivamo dinanzi ad una per noi nuova, imponentissima rivelazione dell'onnipotenza e maestà di Dio"
Una prosa un po' datata, certo, ma efficace e suggestiva; chi ha provato un bivacco in montagna riconosce le sensazioni descritte.
La mattina dopo (31 luglio), all'alba, salgono la cima più alta della Dufour (4695 m).
La cordata inizia quindi la lunghissima discesa verso Zermatt ma, alle ultime rocce sotto il Grenzgipfel, viene presa la decisione di non seguire l'itinerario comune di discesa, ma di dirigersi verso il colle Zumstein posto a 4450 m.
In tal modo viene compiuta la prima traversata del colle Zumstein per una cordata proveniente da . Macugnaga. (13).
La discesa verso Zermatt è veramente interminabile tanto da imporre un nuovo bivacco nelle vicinanze del rifugio del Riffel anche perché la guida Gadin, semi accecato dal riverbero del sole, non aveva trovato il sentiero sulla morena che avrebbe condotto la cordata finalmente a riposarsi in quel di Zermatt dove arrivano con un giorno di ritardo rispetto al previsto.
CERVINO
Se la salita lungo la parete est del Monte Rosa è, come detto, l'impresa alpinisticamente più significativa e tecnicamente più impegnativa di Achille Ratti, la carriera alpinistica del futuro Pontefice continua alla ricerca di nuove mete.
Infatti, il 1° agosto 1889, don Ratti, don Grasselli e le loro guide sono a Zermatt, località dove la presenza ed il richiamo del Cervino, "il più nobile scoglio d'Europa" secondo la famosa definizione di John Ruskin, non lascia certo indifferente don Ratti ed i suoi compagni.
Il gruppo si riposa qualche giorno, senza peraltro rinunciare ad una gita di ricognizione alle falde, appunto, del Cervino e, il 6 agosto, dopo un tentativo del giorno prima fallito a causa del cattivo tempo, parte alla volta della montagna.
Della comitiva fanno parte don Ratti, le guide Gadin e Proment ai quali si era aggiunto Francesco Bich, guida di Valtournanche; il solo don Grasselli non se l'era sentita di affrontare la scalata, forse anche per la stanchezza accumulata nei giorni precedenti (non si deve dimenticare che don Grasselli era maggiore di dieci anni di don Ratti).
Il programma risulta però, a dir poco, sorprendente.
Ancora una volta occorre rifarsi agli scritti alpinistici dove si legge: "fu stabilito che verso la mezzanotte saremmo ripartiti per il Cervino andando direttamente in vetta, senza pernottare alla capanna. Era un esperimento di qualche interesse: e, se non altro, avremmo eseguito l'ascensione a modo nostro e fuor di zibaldone".(14).
Dunque, salita diretta al Cervino da Zermatt; un exploit fisico (e, in parte, anche tecnico) di tutto rispetto, paragonabile - fatte le debite proporzioni - alle imprese dei moderni sky runner che però non usano i pesanti scarponi chiodati e le lunghe piccozze allora in voga, senza dimenticare l'impresa che, solo pochi giorni prima, era stata portata a termine sul Monte Rosa.
Partiti a mezzanotte, alle quattro sono alla capanna dell'Hornli dove sostano un poco per riprendere la salita: "di roccia in roccia, di cresta in cresta, di corda in corda".(15).
La salita prosegue senza intoppi e la vetta fu raggiunta dopo circa sedici ore di scalata; anche in questo caso un esempio di tenacia e di preparazione fisica e mentale invidiabili.
Il momento dell'arrivo in vetta è così ricordato negli scritti: "Finalmente verso le quattro o le quattro e mezza pomeridiane eravamo sulla cima. Il sole versava declinando i suoi ultimi splendori sul grandioso, indescrivibile panorama: non dimenticherò più la spaventevole bellezza degli abissi che si sprofondano a picco sotto la vetta dalla parte di Valtournanche..(16).
Ma intanto il sole volgeva decisamente al tramonto, ed una brezza freddissima ci fè pensare alla discesa"
E così, dopo il Monte Rosa anche il Cervino era salito.
Data l'ora tarda, la cordata si preparò anche in questo caso al bivacco, poco sotto la cosiddetta spalla del Cervino.
Il momento è così descritto nella relazione della salita: "Il tempo era sempre magnifico e ci rassegnammo a passare la notte là dove eravamo, senza pena e, oso dire, con largo compenso. La configurazione singolare del Cervino, l'isolamento perfetto in cui si slancia quel suo gigantesco aereo picco, la varia fisionomia del sottostante panorama mi fecero sembrare quella notte, per certi rispetti, ancora più stupenda di quella passata una settimana prima sulla vetta del Monte Rosa".(17).
La mattina seguente, giunti alla capanna dell'Hornli, hanno la gradita sorpresa di incontrare don Grasselli che, da solo, era andato loro incontro.
Il 9 agosto il gruppo attraversava il colle del Teodulo per scendere a Valtournanche e, il 10 agosto, i due sacerdoti sono di nuovo a Milano.
Una campagna alpinistica breve ma assai intensa e di tutto rispetto quella dell'estate del 1889.
MONTE BIANCO
Dopo la felice stagione dell'anno 1889, l'attività alpinistica del futuro Pio XI° era tutt'altro che conclusa; l'interesse di Achille Ratti si rivolse al Monte Bianco.
La sera del 27 luglio 1890, don Ratti e don Grasselli sono a Courmayeur per tentare di ripetere la via percorsa dalla cordata Martelli nei giorni 16 e 17 agosto 1889, con l'intenzione di percorrere quell'itinerario in discesa. A Courmayeur incontrano le fidate guide Gadin e Proment che prospettano però ai due sacerdoti una diversa possibilità che avrebbe permesso alla cordata di seguire un itinerario in parte nuovo.
Oltre un secolo dopo la prima ascensione al Monte Bianco dal versante francese del 1786, il problema non era tanto quello di trovare un itinerario da Courmayeur, quanto quello di scoprire una via tutta italiana.
Dopo due salite di allenamento al Crammont il 28 luglio ed al colle del Gigante il giorno successivo, il 30 luglio 1890, intorno alle otto del mattino, la cordata - alla quale si era aggiunto don Giovanni Bonin, vicario di Prè St.Didier - partì alla volta del rifugio Sella, ancora oggi uno dei rifugi più isolati del massiccio, dove giungono nel pomeriggio.
La mattina dopo, 31 luglio, con un tempo splendido, alle ore quattro antimeridiane, la cordata si mette in marcia e circa a mezzogiorno giungono in vetta al Monte Bianco.
In vetta, come ricorda don Ratti negli scritti, brindano: "con dell'Asti spumante, lassù veramente impagabile, (che) fece egregiamente le veci dello sciampagna".(18).
Al momento del ritorno, una fitta nebbia sconsigliò di intraprendere la discesa verso Courmayeur lungo ghiacciai molto crepacciati; come si può notare, in questa come in altre occasioni, la prudenza fu uno dei punti di riferimento dell'andare in montagna di don Ratti e dei suoi compagni, e proprio la prudenza fece si che la discesa si svolgesse lungo il meno impegnativo versante francese.
Questa circostanza fece si che don Ratti ed i suoi compagni pernottassero per primi nella nuovissima capanna Vallot che proprio in quei giorni stava per essere ultimata in attesa dell'inaugurazione; da un certo punto di vista una sorta di "prima" anche questa.
La mattina del 1° agosto 1890 lasciano il rifugio Vallot, oltrepassano il Dome du Gouter e scendono fino al colle di Bionassay. Da questo punto, invece di seguire l'itinerario lungo i contrafforti delle Aiguilles Grises, tennero la sinistra e - cito ancora dagli scritti - "prendemmo a discendere dal suo bel principio il ghiacciaio del Dome, quello cioè che si avalla tra il Rocher du Mont Blanc a sinistra e l'Aiguille Grise a destra"(19); scavalcato poi lo sperone che sostiene la vetta delle Aiguilles Grises, continuano lungo il ghiacciaio del Miage e giungono a Courmayeur verso le 17.
Come si vede, il futuro Papa ha lasciato una traccia duratura anche nel massiccio del Monte Bianco aprendo, in discesa, con la variante descritta, quella che era destinata a diventare col tempo la via normale di salita dal versante italiano, lungo il ramo occidentale del ghiacciaio del Dome.(20).
Con la salita al Monte Bianco si può dire concluso il momento magico di don Ratti, con un trittico di salite, Monte Rosa, Cervino e Monte Bianco, assai significativo e, per l'epoca, di alto livello.
VESUVIO
Se quelle appena ricordate rappresentano le punte di diamante dell'attività alpinistica di colui che sarebbe diventato Pio XI°, sembra opportuno, a questo punto, fare un cenno alla salita al Vesuvio compiuta da don Ratti nella notte tra il 31 dicembre 1899 e il 1° gennaio 1900, in compagnia di alcuni soci della Sezione di Napoli del Club Alpino Italiano.
La salita al Vesuvio non si può certo considerare una salita impegnativa, forse neppure a stretto rigore alpinistica; essa, però, deve ritenersi, da un lato singolare per il luogo, ma soprattutto significativa, quasi profetica, perché il futuro Pontefice vide sorgere l'alba del nuovo secolo dall'alto di una montagna, luogo che si può considerare simbolico dell'avventura umana e spirituale di don Ratti.
La relazione che narra il soggiorno napoletano oltre che la salita al Vesuvio, è di piacevole e gradevole lettura, soprattutto quando indugia su alcuni particolari come la sosta a casa Césaro, dove si svolse la cena ed il tradizionale brindisi della mezzanotte. Dopo il brindisi al nuovo anno, il gruppo partì per raggiungere, poco prima dell'alba, l'orlo del cratere. Finalmente giunge l'alba e: "un'infinita bianchezza si diffondeva pel cielo sereno e prendeva aspetto di mobile argento, riflesso nello specchio di mare increspato dalla brezza mattutina".(21).
Sono momenti di grande emozione che fanno tornare alla memoria di Achille Ratti, sensazioni altre volte vissute in montagna. "Paragonabile a quello che laggiù mi fu concesso, non trovo nella mia vita che un solo istante, quando nella suprema vetta del Monte Rosa, guadagnata la sera innanzi salendo da Macugnaga, mi era dato di contemplare a tutto mio agio lo spuntare di un giorno bellissimo".(22).
Il ricordo, forse la nostalgia del Monte Rosa, appare ancora nelle parole di don Ratti quasi a chiudere idealmente il cerchio di una stagione alpinistica irripetibile, prima di affrontare ben altre difficoltà e salire vette ben più alte. L'attività alpinistica di don Ratti comunque continuò, come detto, ancora per poco più di dieci anni, fino al 1913, anche se con sempre minore intensità.
Il frequente utilizzo di brani tratti dagli scritti di montagna di Achille Ratti, offre lo spunto per alcune brevi considerazioni sulla sua prosa alpinistica che, ovviamente, deve essere rapportata al modo di scrivere in voga, tra le persone colte, alla fine dell'ottocento.
La prima considerazione da fare è che Achille Ratti, nella narrazione delle sue salite, cerca di limitare le annotazioni di carattere puramente tecnico. Nella sua prosa, invece, sembra prevalere il tentativo, spesso riuscito, di far rivivere al lettore le sensazioni, le emozioni ed i pensieri di chi frequenta la montagna non solo intesa come puro esercizio fisico, ma come luogo nel quale lo spirito e la mente trovano liberamente la possibilità di assaporare, fin nel profondo, momenti unici ed irripetibili; le descrizioni di albe e tramonti ne sono un esempio.
In altre occasioni, nel raccontare singoli episodi di salita, la prosa diretta ed incisiva di Achille Ratti permette al lettore di immedesimarsi nel momento dell'azione.
Un esempio, al riguardo, sembra essere significativo; durante la salita della parete est del Monte Rosa, la guida Gadin, che è in testa alla cordata, si attarda nel superamento di un passaggio particolarmente delicato. Achille Ratti che lo segue ed è fermo in attesa di passare a sua volta, chiede con qualche insistenza il perché della sosta: la guida Gadin, che nei momenti topici si esprime in francese, risponde alla domanda con calma, ma fermamente, con queste parole riportate testualmente negli scritti alpinistici:"Monsieur, je vous en prie, ne parlez pas, cela me dérange l'èsprit".(23).
In poche parole, come si può notare, è ben descritta la difficoltà del momento e si esprime la concentrazione dei protagonisti. Questi pochi cenni sembrano sufficienti per inquadrare la capacità di Achille Ratti di trasportare sulla pagina scritta, con efficacia ma anche con passione e sentimento, le sensazioni che lui stesso ha provato durante la sua lunga attività in montagna, e di coinvolgere il lettore rendendolo quasi partecipe degli avvenimenti descritti.
Achille Ratti, anche da Pontefice, non dimenticò mai la montagna ed i suoi uomini.
Ne è esempio l'udienza che Pio XI° tenne a Roma il 16 aprile 1934 alla presenza di oltre duecento guide e circa trentamila alpini.
Le parole che in quell'occasione il Papa pronunziò sapevano ben poco di circostanza; furono, invece, parole di umana amicizia e di condivisione della stessa comune passione; si dice che l'udienza si protrasse ben oltre i tempi stabiliti, cosa assai insolita per un Pontefice che aveva fama di essere di elvetica precisione.
Ancora più significative e solenni furono le parole che si trovano nella lettera apostolica del 20 agosto 1923, indirizzata al
Vescovo di Annecy in onore di San Bernardo da Mentone, proclamato in quell'occasione, patrono degli alpinisti.
La lettera, anch'essa pubblicata nei testi latino ed italiano, nel volume degli scritti più volte citato, contiene una definizione di alpinismo che, al di là della prosa che risente ovviamente dello stile dell'epoca e della solennità del momento, merita di essere riletta anche oggi.
"Per vero tra tutti gli esercizi di onesto diporto nessuno più di questo - quando si schivi la temerità può dirsi giovevole alla sanità dell'anima nonché del corpo. Mentre, col duro affaticarsi e sforzarsi per ascendere dove l'aria è più sottile e più pura, si rinnovano e si rinvigoriscono le forze, avviene pure che e coll'affrontare difficoltà di ogni specie si divenga più forti pei doveri anche più ardui della vita, e col contemplare la immensità e bellezza degli spettacoli, che dalle sublimi vette delle Alpi ci si aprono sotto lo sguardo, l'anima si elevi facilmente a Dio, autore e signore della natura".(24).
Parole profetiche; quasi un presagio delle difficoltà e delle prove che Pio XI° avrebbe dovuto affrontare durante il suo pontificato.
Prima di concludere questo necessariamente ridotto spaccato dell'attività in montagna che è anche specchio della forte personalità di uomo e di alpinista di colui che sarebbe diventato Pontefice, ancora due brevi considerazioni.
E' fin troppo evidente che un personaggio come Pio XI° non poteva essere ricordato nel variegato mondo della montagna e dell'alpinismo, solo per la sua attività, peraltro tutt'altro che modesta.
E' significativo il fatto che due vette, una sulle Alpi e l'altra sugli Appennini, sono intitolate al Papa alpinista. La prima si trova in Valle d'Aosta e fu scalata, in solitaria, il 4 giugno 1922 dall'Abate Henry di Valpelline - la vetta si trova appunto in quella valle - che battezzò una punta ancora innominata con il nome di Punta Ratti, in onore del Pontefice da poco eletto; la seconda è il picco Ratti, massima elevazione della cresta NNE del Pizzo d'Intermesoli (gruppo del Gran Sasso), salita per la prima volta il 25 settembre 1929 da E.Sivitilli.
L'altra questione riguarda , invece, più direttamente la Sezione di Desio del Club Alpino Italiano.
Nel settembre del 1921, pochi mesi prima della sua elezione a Pontefice, l'allora Cardinale Ratti ebbe un cordiale colloquio con i dirigenti della Sezione, in quella occasione il futuro Papa spronò la neonata Sezione di cui - come detto - era socio onorario, ad incrementare l'attività alpinistica spingendosi anche al di fuori della cerchia di montagne di solito frequentate.
Forte di un simile incoraggiamento, la Sezione di Desio si diede da fare e non molto tempo dopo, la dirigenza dava incarico ad una piccola delegazione di soci, di visitare un rifugio ex austro-tedesco, posto nelle Alpi Venoste, alla testata della Vallelunga, nel gruppo della Palla Bianca.
Di ritorno dalla prima visita ufficiale, la delegazione riferì di un "piccolo rifugio di alta montagna, degno di essere intitolato al nome augusto di Sua Santità".
Il 15 agosto 1926, veniva così intitolato a Pio XI° il rifugio alla Palla Bianca e da allora ne porta il nome; il rifugio venne successivamente ampliato fino alla consistenza attuale.
E' la casa del Papa alpinista, simbolo della sua passione per la montagna.
NOTE
- Nell'ufficio di Presidenza della Sezione di Milano del C.A.I., ancora oggi, campeggia un ritratto ad olio di Pio XI°, dipinto nel 1941 dal pittore Bosone.
- Di tutto ciò si trova traccia nell'Alpine Journal dell'epoca.
- Per un'accurata sintesi dell'importanza che il clero di montagna ebbe per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo dell'alpinismo, cfr. A.ZANNINI, "Tonache e piccozze. Il clero e la nascita dell'alpinismo", Torino, 2004.
- Così può essere tradotta l'espressione utilizzata dal pittore scozzese W.BROCKEDON nel suo "Journals of excursions in the Alps:the Pennine,Graian,Cottian,Rhetian,Lepontian and Bernese", 3 ed.,London,1845,pag.251. Interessanti considerazioni sul paesaggio alpino sono svolte anche da E.PESCI, "La montagna del cosmo",Torino,2000.
- Per un'accurata ricostruzione dei fatti, sulla base di documenti ufficiali, cfr. E.FERRARI, A.PALEARI (a cura di). "Una valanga sulla est:1881, la catastrofe Marinelli al Monte Rosa", Verbania,2006;
- G.BOBBA e F:MAURO (a cura di), "Scritti alpinistici del sacerdote Dott.Achille Ratti (ora S.S.Pio Papa XI°)", Milano,1923. La pubblicazione ricorda il cinquantesimo anniversario di fondazione della Sezione di Milano del C.A.I.
- E' interessante ricordare che l'edizione inglese del 1923, intitolata: "Climbs on alpine peaks", porta la prefazione di D.Freshfield, esploratore ed alpinista di fama, redattore dell'Alpine Journal e influente membro dell'Alpine Club.
- G.BOBBA e F:MAURO, "Scritti alpinistici.......", op. cit.,pag,13. Tutte le citazioni contenute nel presente scritto, sono tratte dal medesimo volume ora citato. Peraltro, le relazioni delle salite al Monte Rosa e al Monte Bianco erano già apparse nelle pubblicazioni ufficiali del C.A.I., nel 1889 e 1890, rispettivamente. La notizia della traversata del Monte Rosa era apparsa anche sulla "Gazzetta Piemontese" del 23 agosto 1889.
- Cfr. G.BOBBA - F.MAURO, op, cit., pag.22.
- Questa curiosa notizia è riportata con una certa frequenza; la si trova, ad es., in L.ROSSI, "Valle Anzasca e Monte Rosa", Domodossola, 1928, pag.228 s. e, più recentemente in E.RIZZI, T.VALSESIA, L.ZANZI, "Storia di Macugnaga", Anzola d'Ossola, 2006, pag. 194.
- Cfr. ancora G.BOBBA - F.MAURO, op .cit., pag. 60.
- Op. loc. cit., pag. 43.
- A ricordo dell'impresa e come omaggio all'alpinista divenuto Sommo Pontefice, il Club Alpino Italiano, nel 1922, pose sulla facciata della Chiesa Nuova di Macugnaga, una lapide commemorativa della salita.
- Si veda ancora G.BOBBA - F.MAURO, op. cit., pag. 85.
- Op. loc. cit.,pag. 85.
- Op. loc. cit., pag. 86.
- Op. loc. cit., pagg. 91,92.
- Op. loc. cit.,pag. 103.
- Op. loc. cit.,pag. 110.
- Questo itinerario, con la variante ricordata nel testo, sostituì - da allora - un'altra via aperta nel 1865, sempre in discesa, ma più pericolosa.
- Cfr. ancora, G.BOBBA - F.MAURO, op. cit., pag. 149.
- Op. loc. cit., pag. 149.
- La citazione è ancora tratta dall'opera a cura di G.BOBBA e F.MAURO a pag. 29.
- Si veda il testo della lettera apostolica pubblicata nel volume degli "Scritti alpinistici"; la citazione è alle pagine 187 e 189.